Floriano Enzo Pino, originario di Novoli, viveva a Monteroni con la sua famiglia. Era un brigadiere dell’istituto privato di vigilanza “Velialpol” e quella tragica notte dell’estate 1979 morì in servizio, a 40 anni, nel tentativo di bloccare quattro malviventi in fuga a bordo di un camion rubato: fu ucciso per strada, a Mesagne, sotto il fuoco di fila del commando di ladri e assassini. Il vigilante lasciò la moglie e due pargoli in tenera età. La figlia Anna Grazia Pino ha deciso di non arrendersi. E tramite l’avvocato Giuseppe Cipressa, del Foro di Lecce, ha inoltrato alla Procura di Brindisi un’istanza per sollecitare il pubblico ministero a chiedere al gip di disporre la riapertura delle indagini. Si tratta del primo passo per giungere alla verità. “Avevo appena dieci anni quando mio padre fu ucciso. Ha perso la vita - afferma la figlia del metronotte assassinato - con la divisa addosso, svolgendo il suo lavoro. E la sua morte non può passare come se nulla fosse. Chiedo giustizia per mio padre. Porterò avanti questa battaglia fino alla fine. Ci sono ombre e tante circostanze dubbie che necessitano ancora oggi di un approfondimento istruttorio: alla magistratura chiediamo di fare luce sulla verità”.
I FATTI
Quella notte di quarant’anni fa, dal deposito di carni dell’azienda “Perrone” situato a Carmiano lungo la provinciale per Leverano fu trafugato un autocarro appena rientrato dal nord Italia con un carico di 50 quintali di carni macellate. Fu proprio una pattuglia della Velialpol a scoprire il furto, notando il cancello aperto. E dopo aver avvisato custode e proprietario, che abitavano a poche decine di metri dal deposito, i metronotte contattarono via radio l’altra pattuglia che era composta proprio da Pino e da un collega. Seguendo le tracce lasciate sull'asfalto dallo sgocciolamento del sistema di refrigerazione, l’autocarro rubato fu intercettato a Mesagne, sulla via per San Vito dei Normanni. Una coincidenza si rivelò fatale per l’uomo in divisa: tra le 3,48 e le 3,58 la fuga del commando fu bloccata dalla chiusura di un passaggio a livello. Le sbarre si abbassarono per un treno in transito sulla linea delle ferrovie dello Stato e i malviventi finirono in trappola. La vettura dei due vigilanti, che tallonava a distanza i banditi, riuscì quindi a raggiungerli. Sul camion rubato erano in quattro. Uno armato di fucile, gli altri di pistola. E non appena Pino scese dall’auto di servizio e si avvicinò al mezzo, i banditi aprirono il fuoco. Il brigadiere fu colpito alla gola. Anche il collega (che oggi ha 69 anni) rimase ferito, ma riuscì fortunatamente a sopravvivere. I banditi si dileguarono a piedi e poi servendosi di un’auto che rubarono nelle vicinanze. Le due guardie, con l’aiuto di un venditore ambulante che dormiva nella sua baracca a pochi metri, furono trasportate all’ospedale di Mesagne, dove Pino giunse ormai senza vita.
LE INDAGINI
Nel corso dell’inchiesta portata avanti dal Reparto operativo dei carabinieri di Brindisi e dal pm Riccardo Dibitonto emerse il presunto coinvolgimento di alcuni pregiudicati, quasi tutti brindisini, che oggi avrebbero tra i 65 e gli 80 anni: i loro nomi compaiono nelle informative della polizia giudiziaria dell’epoca. Tuttavia, il procedimento penale, aperto a carico di ignoti, sfociò nell’archiviazione. Numerose, però, sono le presunte lacune sollevate nell’atto sottoposto alla magistratura dal legale della figlia di Pino. Tra queste l’assenza di un tentativo di riconoscimento fotografico dei sospettati o di un raffronto con l’impronta di una mano rilevata sul cristallo di una Fiat 500 che i malviventi tentarono di rubare per allontanarsi dal luogo dell’omicidio. E poi testimonianze ritenute contraddittorie e una ricostruzione del furto che non convince fino in fondo. Un giallo che dura da quarant’anni.