in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne (LEGGI ARTICOLO). Un’esposizione di quadri che fa parte del percorso di sensibilizzazione “Il Filo di Eva”.
Lezzi (classe 1973) è un’artista monteronese, una pittrice che ama definirsi “femminista e ribelle”. Ha conseguito la laurea nel 1998, presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, con una tesi sui mosaici pavimentali salentini fra 800 e 900. E per dieci anni ha militato da femminista all’interno del mondo sindacale, anche con incarichi di responsabilità.
L’arte, insomma, come forma di espressione, ma anche di impegno e di testimonianza. Ed è la stessa artista ad accompagnarci nel significato delle sue opere.
“Ho avuto per cinque anni diverse esperienze di insegnamento, ma poi ho scelto di dedicarmi all’arte. Dipingo per passione e nel tempo libero. Il mio stile - spiega Simona Lezzi - è la pittura informale d’azione, con la quale continuo a sperimentare diverse tecniche. E alla base di questa scelta, vi è senza dubbio una forte influenza degli studi accademici con la professoressa Marina Pizzarelli. Ho cominciato a cimentarmi nel primo ciclo pittorico con la tecnica del dripping, ovvero del gocciolamento, inspirandomi al grande Jackson Pollock. Poi son passata alla pittura informale gestuale. Nell’ambito della pittura d’azione ho voluto sperimentare anche la pittura segnica. E nell’ultimo ciclo, per imprimere nelle tele vibrazioni emotive al femminile ho voluto scegliere uno sfondo dorato, così come si fa per incastonare le gemme preziose nell’oro” .
E la sua è un’arte di lotta e di denuncia.
“Ho avuto la fortuna di aver potuto visitare i più bei musei di arte moderna. E la scelta dell’informale è una mia forma di ribellione femminista. L’opera vuol essere “altro” dalla realtà, ancora maschilista, che mi circonda. Ribellandomi scelgo di divenire una realtà indipendente. In tutte le poetiche del segno e del gesto evidenzio il mio rifiuto per il maschilismo - evidenzia l’artista - e denuncio il dolore delle donne, in segno di protesta. Creo una iconografia del “No”, una negazione del mondo in cui la donna è ancora sottomessa, identifico nel dipinto la sofferenza femminile di cui mi faccio portavoce”.
I suoi quadri, insomma, rappresentano un “ritorno al bello” come difesa ma anche come speranza per l’universo rosa.
“Con la mia gestualità - racconta Simona Lezzi - non intendo creare niente di figurativo ma desidero imprimere nella tela, con fiumi di colori, solo vibrazioni emotive per descrivere il paesaggio dell’inconscio e dell’animo femminile. Solo in alcune opere, come quelle segniche, c’è una minore volontà di staccarsi totalmente dalla forma, quasi a voler far emergere uno spiraglio di luce, speranza, futuribilità, coraggio, che manifesto altresì nelle opere più informali con la scelta di colori brillanti che si fanno spazio anche sugli sfondi più tetri. Mentre prima lottavo accanto alle donne nel sindacato, ora continuo la mia lotta fiancheggiandole nell’arte, perché in buona sostanza ribellarsi vuol dire tornare al bello. Quindi, non potevo scegliere strumento migliore della mia pittura”.