A tu per tu con Bernardini: ‘I libri come i figli, difficile scegliere. Mi sento più narratore che poeta’

Arduo racchiudere in poche righe la personalità di Giovanni Bernardini, figura storica del mondo letterario e giornalistico salentino, nonché ex sindaco di Monteroni.

Intellettuale mai scontato, prosatore e poeta, ma non solo. Ha percorso con le sue opere tutta la metà del Novecento fino ad oggi.

Alla rispettabile età di 96 anni, il professore Bernardini pubblica ancora. La carta d’identità non ha scalfito il suo genio, la sua penna, la sua ironia graffiante. Nato a Pescara, studia Lettere a Firenze. Interrompe gli studi per la guerra e dopo la Liberazione li riprende laureandosi a Bari nel 1946.

Ha collaborato con riviste e periodici. Ha scritto racconti, romanzi, testi giornalistici e poesie che hanno riscosso il plauso dei lettori. Lo abbiamo incontrato nella sua abitazione che sorge nel cuore del centro storico di Monteroni. Nonostante il peso degli anni e dei comprensibili acciacchi, Giovanni Bernardini ha accolto la nostra richiesta. È stata una lunga conversazione che pubblicheremo in due parti. Ecco la prima.

Professore, grazie per averci concesso questa intervista. Partiamo parlando di ciò che verrà: cosa c'è nel futuro di Giovanni Bernardini? Ha in cantiere un nuovo libro? Può accennarci qualcosa? 

Direi che non ho nessun libro in attesa di pubblicazione. Scrivere è bello ma anche faticoso. Credevo di aver chiuso la mia attività di scrittore e poeta col libro di poesie edito da Esperidi edizioni “Nel buio la parola”, che in alcune parti ma specialmente nel titolo si richiama al mio grande dolore per la perdita di mia moglie. Pensavo di aver chiuso le attività, se non che mio figlio Alberto mi dette un suggerimento rilanciato anche da mio figlio Marco: Papà, della tua vita di ragazzo, di giovane di uomo sappiamo molto poco, perché non scrivi qualcosa come memoria della tua vita passata partendo dalla più remota e risalendo ai tempi più vicini? Un suggerimento che accolsi, devo dire, in un momento raro di entusiasmo. Tant’è che un brano è stato estrapolato e solo in minima parte pubblicato su richiesta degli stessi redattori su QuiSalento, sul primo numero uscito dopo il cambio di direzione. Trattandosi di una rivista che rinasceva, condotta da giovani, ho preso proprio il brano relativo all’inizio delle mie memorie, addirittura infantili, che è stato pubblicato col titolo dato da me: “Remota stagione”. Altri racconti sono stati poi apparsi su altre riviste locali come il Titano, l’Immaginazione.

C’è speranza, quindi, che questo libro possa andare in stampa…

Tutto l’insieme di questa narrazione di memorie ha avuto un primo e un secondo titolo, quest’ultimo è quello finora rimasto. Di solito il titolo nasce alla fine. All’inizio, tuttavia, diedi il titolo “La casa incantata”:  mi riferivo alla vecchia abitazione di Monteroni, che fu abbattuta e dove fu ricostruita la mia attuale casa. Da bambino ero incantato da tante cose per me nuove, a cominciare dal rapporto con le mie zie e con lo zio Vito. Molti ricordi però erano negativi, come la disgrazia che colpì proprio mio zio. E quindi per tante cose negative che ho rammemorato il titolo definitivo è diventato “La casa sepolta”. Tutti i personaggi della mia infanzia sono morti e poi quella casa, dopo la morte dell’ultima zia, è stata abbattuta e rifatta su insistenza di mia moglie che non voleva che la vendessimo ma che la ristrutturassimo. Un amico ingegnere consigliò di demolire e di ricostruire, e così fu fatto. Alla mia età non si fanno programmi, o si fanno a breve scadenza. E finora ho narrato appena fino al 1939, scrivendo una cinquantina di pagine. L’idea dei miei figli, ma anche mia, è di un libro che non deve essere pubblicato, rimanendo solo come memoria per la mia famiglia. Anche perché ci sono soprattutto memorie familiari molto intime, o magari futili, che non mi sembra il caso di rendere pubbliche. Memorie che possono interessare i figli e qualche nipote, ma non un vasto pubblico. Ma quando io me ne sarò andato la decisione la prenderanno comunque i miei figli.

Tra i tanti libri che ha scritto e pubblicato quale la rappresenta meglio? A quale libro è più legato?

È difficile rispondere a questa domanda. I libri, almeno per me, sono un po’ come i figli. Si vuole bene a tutti in egual misura. Se proprio dovessi fare una scelta, forse direi, anche perché è quello che dalle recensioni e dai commenti di amici e critici è il più riuscito, il libro di racconti “Fuga dalla notte”. Ci sono dei racconti che mi sembrano davvero riusciti. 

Si sente più scrittore o poeta? E che differenza passa?

Forse prevale in me il narratore sul poeta perché la poesia è qualcosa di immediato. La poesia nasce come una folgorazione. Nasce, perlomeno per me è così, o da una forte emozione o da una forte commozione. E si esprime in genere in forma sintetica con un linguaggio che è diverso da quello della prosa. La narrazione, il racconto e il romanzo hanno bisogno invece di tempi lunghi e nascono da fatti, idee, pensieri ed esperienze che tutti insieme poi stimolano alla scrittura, che si può a volte sviluppare lungamente nel tempo. Laddove la poesia è qualcosa di immediato, la poesia esige un linguaggio più nobile, incandescente e alto. La narrativa è diversa nel linguaggio e nella tecnica. La prosa può avere una sua fluidità nelle parole anche quotidiane.

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