Alla società, che a Monteroni come in altri comuni gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, vengono contestate assunzioni in odor di mafia: 36 quelle sospette, di cui 2 a Monteroni. Ovvero, posti di lavoro che sarebbero stati assegnati anche ad esponenti di alcuni clan salentini elencati nella misura interdittiva: un provvedimento deciso dopo i controlli a tappeto effettuati in contemporanea, lo scorso gennaio, in tutti i cantieri e nella sede della società. Per tutti questi motivi, secondo il prefetto di Roma, dove ha sede legale la società, “sussiste la presenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazioni mafiosa” nella Igeco.
La società della famiglia Ricchiuto, però, non ci sta. E oltre al ricorso al Tar, in una nota mette nero su bianco la sua difesa. E nel respingere le accuse, tira in ballo anche vicende che riguardano il servizio di raccolta dei rifiuti che la società per azioni ha in gestione in quel di Monteroni.
“Nel provvedimento di interdittiva antimafia - si legge nel comunicato della Igeco - vengono identificati 36 dipendenti, sospettati di aver determinato il pericolo di infiltrazione nella società. Di questi, 19 provenivano dal gestore precedente al subentro di Igeco nell’espletamento dei servizi di igiene urbana. Inoltre, 7 dei dipendenti oggetto di contestazioni sono oggi alle dipendenze delle imprese che sono subentrate nella gestione del servizio nei Comuni di Matino, Parabita e Novoli, senza con ciò aver determinato a loro carico alcun procedimento di verifica. Nei Comuni di Cellino San Marco, Lizzano, Ruffano e Sava tutti i dipendenti contestati nel provvedimento provengono da altro gestore”.
La nota della famiglia Ricchiuto sposta, poi, l’attenzione sulla “cittadella universitaria”.
“Nel comune di Monteroni, 2 dei dipendenti contestati sono stati passati dall’impresa che gestiva in precedenza il servizio di igiene urbana. Non viene citato, però, il caso di un dipendente, assunto dal precedente gestore per sei mesi a 60 giorni dal subentro di Igeco, quindi che non soddisfaceva le previsioni di cui all’art. 6 del Contratto collettivo nazionale di lavoro, e che la società si è rifiutata di assumere per appartenenza ad un famiglia di spicco della malavita organizzata locale”, dichiara l’impresa che fa capo a Cinza Ricchiuto.
“Ogni riflessione sulle persone indicate nel provvedimento quale idonee ad esercitare un’infiltrazione mafiosa non può prescindere dalla considerazione - conclude la nota della Igeco - che la maggior parte di loro proveniva da altra impresa ed è transitato ad altra impresa, dove ad oggi risultano essere dipendenti, senza con ciò determinare in capo ai loro datori di lavoro l’adozione di analoghi provvedimenti. A ciò può aggiungersi una considerazione di carattere più generale, ovvero che l’unico accesso ispettivo nel Salento negli ultimi di cinque anni è quello operato a carico dell’Igeco e ciò non mette al riparo la società civile dal concreto pericolo che il fenomeno di infiltrazione mafiosa nel settore dei rifiuti sia efficacemente scongiurato”.